Una distesa di baracche fatiscenti, l’odore nauseante delle fogne a cielo aperto, odore peggiorato da un sole che non lascia scampo. Sono queste le immagini che ci accolgono quando arriviamo a Port au Prince, capitale di Haiti. Sono quasi cinque anni che il terremoto ha sconvolto l’isola, ma per qualcuno niente è cambiato da quei terribili momenti.
Ad accoglierci all’aeroporto è arrivata Irene, una delle volontarie del progetto gestito da Suor Marcella. La macchina “sicura” con cui ci accompagna è un Tap Tap, un camioncino aperto di legno. Ci sediamo nella parte posteriore, con un gruppo di bambini del centro, tra cui Bonie, quello più grande (ha solo 11 anni).
Una distesa di tristezza, poi il sole della clinica
La scena è sempre la stessa, e colpisce. Finita la serie di baraccopoli, inizia quella peggiore, Whaf Jeremie. Qui stanno gli ultimi, quelli che nel terremoto hanno perso tutto, e con tutto intendiamo anche la dignità.
Accanto all’ultima baracca, si apre il cancello della Kay Pè Gius, il centro polivalente costruito da Suor Marcella e che L’Albero della Vita sostiene da ormai 5 anni, grazie all’aiuto di tante persone.
78 bambini ci vengono incontro e iniziano a saltarci addosso, incuriositi da quelle due bianche arrivate da lontano. Cercano coccole e abbracci. Il posto è bellissimo, come sempre. Fiori, colori, prati. Tutto è in ordine, dagli spazi per i bambini alla clinica per le mamme.
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Le bande armate che uccidono ogni giorno
A cena, Suor Marcella non esita a raccontarci la verità: le bande armate, le mafie locali, piene di giovani che per due soldi e un po’ di droga vendono l’anima, si scontrano praticamente ogni sera. Si uccidono e uccidono le persone innocenti. La notte non c’è polizia, non ci sono caschi blu delle Nazioni Unite, non c’è niente. Se dovessero entrare nella struttura, e a volte sono entrati in preda all’alcool o alle sostanze, l’unica via di fuga è il mare.
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Un’oasi di pace nella disperazione
Colpisce il contrasto. Da una parte l’ordine e la bellezza della clinica e della struttura per bambini soli, dall’altra il caos totale della baraccopoli, la fogna a cielo aperto, gli odori, la povertà, la disperazione, la paura e le violenze. La clinica Saint Francois è un’oasi di pace in mezzo alla disperazione.
Idoia e Simona
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